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Nella ripartenza dopo la pandemia, si sente spesso l’invito ad una unità nazionale e locale, ad un patto diffuso per generare riforme, rilancio dell’economia, un nuovo modo di essere comunità locali e nazionale.

Sul bisogno di “Comunità” è intervenuto anche il vescovo Corrado Pizziolo, dopo una visita durata mesi alle Unità pastorali della Diocesi vittoriese: “Sento il bisogno di sviluppare comunità!” ha detto.

E allora occorre dire che questa società, individualista e competitiva, rancorosa e inquieta, ma anche generosa e solidale, orgogliosa ed attaccata a questa terra, ha bisogno di “lavoro di Comunità”. E la Fondazione di Comunità – che sta per insediare il suo nuovo Consiglio di Amministrazione – è sicuramente soggetto protagonista, forse non l’unico, di questo lavoro.

Fare lavoro di Comunità, non è solo una pratica sociale che rimanda a modelli e metodologie, ma ancorare la nostra vita ad una dimensione etica: non siamo soli, non viviamo per noi stessi, siamo parte di un mondo di relazioni, di competenze, di talenti, di creatività che deve essere consapevole di un comune destino.

Eludere la questione etica, vuol dire fare lavoro di Comunità senza dare un senso al cammino, farlo diventare tecnologia strutturale del territorio, ma privarlo dello scopo.

Perché la Comunità è – prima di tutto – alimentare ad ogni livello la partecipazione, il protagonismo, la convivialità della popolazione di un territorio. Attivare processi di collaborazione e di accoglienza reciproci, promuovere relazioni fiduciarie, sostenere ed ampliare il capitale sociale quale bene immateriale enorme.

La partecipazione deve diventare un’esperienza gioiosa, un mettere a disposizione tempo e competenze per il benessere sociale, un esercizio della cittadinanza consapevole degli scenari e responsabile verso tutti. Significa costruire una società diversa dalla attuale, più attenta a porre al centro le persone e le reti interconnesse ed interdipendenti delle nostre vite.

Se occorre rafforzare gli interventi per contrastare esclusione sociale e povertà non solo materiali, va anche progettata una nuova dimensione della sicurezza urbana, dell’avere cura dell’abitare, del generare la Comunità come valore e patrimonio comune. Perché “fare Comunità” conviene a tutti.

Esiste in questo una corresponsabilità tra Istituzioni, Municipi prima di tutto, e cittadini. Essa si alimenta dalla vision attenta sui cambiamenti socio-demografici ed economici, dalle domande sulla sostenibilità dello sviluppo e del welfare connesso, dalla capacità individuale e sociale – collettiva di farci carico della qualità di vita del presente e del futuro. E necessita di una progettualità attenta per giovani ed anziani, per famiglie e bambini, per la donna e per le persone fragili. La dimensione progettuale è anima dell’agire partecipativo.

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